giovedì 21 gennaio 2010

Genitore condannato per uno schiaffo. Per la Cassazione è abuso di mezzi di correzione.


Gli schiaffi non sono ammessi in alcun caso quali metodo di educazione dei genitori verso i propri figli.
Così ha sentenziato ieri la Cassazione, confermando la condanna inflitta dal Tribunale di Bologna ad un padre. L'uomo ha difeso la propria posizione dichiarando che l'uso degli schiaffi era sporadico e concomitante con la reiterazione di comportamenti . Ma pare che le motivazioni, ritenute tradizionalmente valide, non bastino oggi a frenare un'onda incontrollabile di "progresso educativo" che vuole la parola, egemone e giudice dell'educazione.
D'altronde le teorie sul dialogo educativo, scevro di ogni pressione verbale o fisica, sono il leit motif delle nuove generazioni di sociologi, per i quali lo scappellotto e le urla sono bandite, demonizzate. Strumenti traumatici, pare, che nella loro inutilità sono invece primaria causa del disagio giovanile, della fragilità delle nuove generazioni.
Scompaiono i vecchi retaggi e le brutte abitudini, e con loro, i padri dalla mano pesante e le madri che
 - Adesso le prendi - .
Secondo il progresso che avanza, quindi, secondo i nuovi luminari, la prole deve essere redarguita, ma senza eccessi onde evitare violenza verbale, corretta, ma senza scapaccioni, d'obbligo l'uso della parlantina e delle giuste motivazioni. . L'educazione deve scaturire dalla spiegazione, dal dialogo paziente, volto ad erudire la giovane mente alla sottile distinzione tra ciò che è giusto e ciò che, almeno oggettivamente, è sbagliato.
Una profusione di concetti complessi, spesso neanche alla portata di tutti, difficilmente riconducibili a logiche spicciole, ad una facile assimilazione. Soprattutto se l'unico mezzo a disposizione, prevede assolute doti di orazione.
Un'ennesima utopia, una verità generalista che non guarda alle differenze sociali, alla contestualizzazione, che non tiene conto della quotidianità e della vastità di imput esterni al quale sono soggetti i minori.
 A farlo, invece, a porre un occhio attento alla realtà,  i migliaia di articoli di cronaca che riamandano, tristemente, alla carenza endemica di educazione sociale dei minori, collocati costantemente nel limbo dell'irresponsabilità, ove i genitori non hanno esilio. Il disagio giovanile, che inizia con la deregolamentazione comportamentale e termina nelle tragedie quotidiane, pone le generazioni ultime nella comoda bambagia dell'innocenza.L'inconsapevolezza.  Le colpe sono ricercate nella famiglia, nella società, nello Stato, nella globalizzazione, nelle subculture, nell'indigenza. Mai nella mancanza di imposizione dei valori fondanti, come la dignità umana, il valore della vita, il senso al bene comune, l'onestà senza condizionali, il rispetto alle regole. 
Eppure, sembra, la memoria ci rimandi più facilmente alle marachelle della gioventù, quando le stesse sono state evidenziate da un fermo scapaccione, più che da noiose ed interminabili parole. Delle lunghe spiegazioni, delle grandi tesi colloquiali, magari, rimane vivido la sensazione di noia inevitabilmente accompagnata. Quella noia che toglieva al momento l'ansia della punizione, dando spazio a quell'inevitabile pensiero giovanile - L'ho fatta franca, mi è andata bene -.
Chi come me, appartenuto alla generazione dei ceffoni, guarda al presente, vede invece chiare le mille difficoltà, morali ed etiche, contrapposte al già difficile mestiere dell'educatore.
La sottile linea che divide il lassismo dal laissez faire, lo schiaffo educatore dalla violenza domestica ha fatto piombare i nuovi genitori nel disagio di non saper fare, di non essere capaci di imporre la civiltà.
Il limbo dell'inadeguatezza.
I risultati ne sono l'evidenza. Violenze scolastiche, spesso oggetto di videoricordi   amatoriali, , abuso di stupefacenti, abuso di alcolici, stupri di gruppo, sadismo, riottosità, omicidio, vandalismo, furto, danneggiamento. Senza contare la generale deregolamentazione, la mancanza di rispetto verso l'istituzione, verso la famiglia, verso il prossimo.  La statistica sulla tipologia di reati minorili commessi nel nostro paese è chiara e lampante. Le condanne per i reati contro il patrimonio quali  il furto, la ricettazione, la rapina, sono sempre più ad appannaggio dei giovani immigrati, e delle fasce di popolazione indigente. Reati spesso riconducibili al bisogno primario all'alimentazione, alla vita. Ma per i reati contro la persona, (omicidio, violenza, lesioni) per i reati vandalici, per i reati contro lo Stato ( pubblici ufficiali, ordine pubblico, etc.) e per l'utilizzo di sostanze stupefacenti (uso, non spaccio) i figli d'Italia detengono egemonia assoluta. Quindi sono proprio coloro che formano il tessuto sociale del nostro paese a compierne maggiore scempio, Una generazione tarlata, quindi, che ricerca i propri modelli tra le pieghe del degrado sociale, tra coloro che "ottengono tutto e subito". La generazione lustrini e cellulari, di carta patinata ed egoismo. Il domani senza padri e senza schiaffi, con mille scuse inconcludenti, ma senza motivazione.
Tante congetture, tante lamentele, molto vittimismo  ma poca voglia di fare, di cambiare.
Chissà che non sentiremo la mancaza, di quegli schiaffi. 

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